Batik & Co
Il batik è una tecnica usata per colorare i tessuti e altri oggetti come i vasi, mediante la copertura delle zone che non si vogliono tinte tramite cera o altri materiali impermeabilizzanti: argilla, resina, paste vegetali, amido.
Il termine deriva dalle parole indonesiane amba (scrivere) e titik (punto, goccia), col significato ciò che si disegna, l'azione dell'artista per realizzarlo è detta membatik.
Non si conosce il momento della scoperta delle tecniche di tintura a riserva, che probabilmente nascono da errori casuali nella tintura dei tessuti, dove macchie di grasso o di cera impediscono al colore del bagno di tintura di penetrare o in quella delle matasse dove i lacci legati troppo stretti lasciano delle righe non tinte sul filato.
I primi ritrovamenti di frammenti di lino provengono dall'Egitto e risalgono al IV secolo, sono bende per le mummie che venivano imbevute di cera poi graffiata con uno stilo appuntito, tinte con una mistura di sangue e cenere venivano lavate con acqua calda per eliminare la cera.
In Asia questa tecnica era praticata in Cina durante la dinastia T'ang (618-907), in India e in Giappone nel periodo Nara (645-794). In Africa era originariamente praticato dalle tribù Yoruba in Nigeria, Soninke e Wolof in Senegal.
Strettamente legato in Indonesia all'uso in cerimonie rituali con altre tecniche a riserva come l'ikat e il Plangi (Giava, Bali), ha raggiunto grande raffinatezza tecnica ed elaborato una complessa iconografia. In Europa la tecnica viene descritta per la prima volta nella Storia di Giava pubblicata a Londra nel 1817 da Sir Thomas Stamford che fu governatore dell'isola.
Nel 1873 il mercante olandese Van Rijekevorsel fa dono dei pezzi da lui raccolti in un viaggio in Indonesia al museo etnografico di Rotterdam. Esposto all'esposizione universale di Parigi del 1900 il batik indonesiano riscuote successo presso il pubblico e comincia ad influenzare il gusto degli artisti. Resiste come oggetto d'artigianato alla globalizzazione e all'industrializzazione che ha introdotto, imitando attraverso tecniche automatizzate di stampa, i disegni e le caratteristiche estetiche proprie della sua lavorazione manuale.
Disegni tradizionali
Cemurikan: disegno con dei raggi.
Kawung: simbologia numerica legata al numero quattro, rappresenta il frutto di palma da zucchero.
Gringsing: a scaglia di pesce.
Nitik: imita un tessuto indiano con piccoli punti quadrati.
Parang rusak: spada spezzata, riservato ai principi, nobili e ufficiali.
Sawat: rappresenta le ali di un uccello mitico il Garuda, è simbolo di potere.
Senen: bocciolo, ripete continuamente i simboli dell'energia che anima il cosmo: alberi, casa, vento, terra, viticci e animali.
Udan liris: pioggia leggera, segni minuti tracciati tra linee diagonali, simbolo di fertilità legato alla terra.
Tambal: patchwork di triangoli tutti con disegno differente.
Il materiale su cui si esegue tradizionalmente il batik è una stoffa leggera, generalmente tessuta con filato sottile e regolare, che permetta una precisa realizzazione del disegno, modernamente viene realizzato anche su carta. Le fibre che compongono il tessuto devono accettare bene i coloranti, le migliori sono quelle naturali tra cui le più comunemente usate sono seta, cotone, lino, solo alcune fibre artificiali sono utilizzabili la viscosa e il rayon.
Dopo la preparazione del disegno si applica la cera sciolta sulle parti che non si vogliono colorare in modo che questa, penetrando tra le fibre del tessuto, le impermeabilizzi impedendo al colore di aderirvi; si utilizza un attrezzo chiamato canting (tjanting), un piccolo serbatoio metallico dotato di manico per impugnarlo e di un beccuccio che fa uscire la cera, si possono usare anche pennelli, stampi in metallo (cap o tjap), stecchi di legno, blocchetti muniti di aghi (complongan) o canting con più beccucci a seconda dell'effetto che si vuole ottenere.
Quando la cera si è asciugata si procede alla tintura immergendo il lavoro in una vasca che contiene il bagno di tintura. Segue il risciacquo e l'asciugatura. Poi la cera viene eliminata con il calore, mettendo il tessuto tra strati di carta (giornali) e passando un ferro caldo per sciogliere la cera che viene assorbita dalla carta. Per ottenere batik policromi si ripete il procedimento per ogni tinta con una nuova applicazione di cera e un nuovo bagno di colore.
Di solito i batik, (specialmente quelli del Kenya), raffigurano scene di vita quotidiana (come scene di mercato, di caccia o di pastorizia) ed i colori sono quelli che richiamano alla terra e alla natura (come il nero, il marrone, il verde scuro o il giallo).
Il termine deriva dalle parole indonesiane amba (scrivere) e titik (punto, goccia), col significato ciò che si disegna, l'azione dell'artista per realizzarlo è detta membatik.
Non si conosce il momento della scoperta delle tecniche di tintura a riserva, che probabilmente nascono da errori casuali nella tintura dei tessuti, dove macchie di grasso o di cera impediscono al colore del bagno di tintura di penetrare o in quella delle matasse dove i lacci legati troppo stretti lasciano delle righe non tinte sul filato.
I primi ritrovamenti di frammenti di lino provengono dall'Egitto e risalgono al IV secolo, sono bende per le mummie che venivano imbevute di cera poi graffiata con uno stilo appuntito, tinte con una mistura di sangue e cenere venivano lavate con acqua calda per eliminare la cera.
In Asia questa tecnica era praticata in Cina durante la dinastia T'ang (618-907), in India e in Giappone nel periodo Nara (645-794). In Africa era originariamente praticato dalle tribù Yoruba in Nigeria, Soninke e Wolof in Senegal.
Strettamente legato in Indonesia all'uso in cerimonie rituali con altre tecniche a riserva come l'ikat e il Plangi (Giava, Bali), ha raggiunto grande raffinatezza tecnica ed elaborato una complessa iconografia. In Europa la tecnica viene descritta per la prima volta nella Storia di Giava pubblicata a Londra nel 1817 da Sir Thomas Stamford che fu governatore dell'isola.
Nel 1873 il mercante olandese Van Rijekevorsel fa dono dei pezzi da lui raccolti in un viaggio in Indonesia al museo etnografico di Rotterdam. Esposto all'esposizione universale di Parigi del 1900 il batik indonesiano riscuote successo presso il pubblico e comincia ad influenzare il gusto degli artisti. Resiste come oggetto d'artigianato alla globalizzazione e all'industrializzazione che ha introdotto, imitando attraverso tecniche automatizzate di stampa, i disegni e le caratteristiche estetiche proprie della sua lavorazione manuale.
Disegni tradizionali
Cemurikan: disegno con dei raggi.
Kawung: simbologia numerica legata al numero quattro, rappresenta il frutto di palma da zucchero.
Gringsing: a scaglia di pesce.
Nitik: imita un tessuto indiano con piccoli punti quadrati.
Parang rusak: spada spezzata, riservato ai principi, nobili e ufficiali.
Sawat: rappresenta le ali di un uccello mitico il Garuda, è simbolo di potere.
Senen: bocciolo, ripete continuamente i simboli dell'energia che anima il cosmo: alberi, casa, vento, terra, viticci e animali.
Udan liris: pioggia leggera, segni minuti tracciati tra linee diagonali, simbolo di fertilità legato alla terra.
Tambal: patchwork di triangoli tutti con disegno differente.
Il materiale su cui si esegue tradizionalmente il batik è una stoffa leggera, generalmente tessuta con filato sottile e regolare, che permetta una precisa realizzazione del disegno, modernamente viene realizzato anche su carta. Le fibre che compongono il tessuto devono accettare bene i coloranti, le migliori sono quelle naturali tra cui le più comunemente usate sono seta, cotone, lino, solo alcune fibre artificiali sono utilizzabili la viscosa e il rayon.
Dopo la preparazione del disegno si applica la cera sciolta sulle parti che non si vogliono colorare in modo che questa, penetrando tra le fibre del tessuto, le impermeabilizzi impedendo al colore di aderirvi; si utilizza un attrezzo chiamato canting (tjanting), un piccolo serbatoio metallico dotato di manico per impugnarlo e di un beccuccio che fa uscire la cera, si possono usare anche pennelli, stampi in metallo (cap o tjap), stecchi di legno, blocchetti muniti di aghi (complongan) o canting con più beccucci a seconda dell'effetto che si vuole ottenere.
Quando la cera si è asciugata si procede alla tintura immergendo il lavoro in una vasca che contiene il bagno di tintura. Segue il risciacquo e l'asciugatura. Poi la cera viene eliminata con il calore, mettendo il tessuto tra strati di carta (giornali) e passando un ferro caldo per sciogliere la cera che viene assorbita dalla carta. Per ottenere batik policromi si ripete il procedimento per ogni tinta con una nuova applicazione di cera e un nuovo bagno di colore.
Di solito i batik, (specialmente quelli del Kenya), raffigurano scene di vita quotidiana (come scene di mercato, di caccia o di pastorizia) ed i colori sono quelli che richiamano alla terra e alla natura (come il nero, il marrone, il verde scuro o il giallo).
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